Daniela Frau Psicologa Psicoterapeuta

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Visioni e immagini dal mondo digitale

Ero rimasta molto colpita dalla mia giovane nipote (sedicenne), la quale in momenti di crisi preferiva sfogarsi attraverso gli SMS (ora con WhatsApp) che non faccia a faccia.

Ero incapace di "leggere" ciò che stavo sperimentando, e ne ero molto turbata. La reazione iniziale di incomprensione aveva lasciato spazio a molte domande, come si possono, mi chiedevo, esprimere le proprie emozioni e sentimenti più intimi, privati, attraverso una cosa così fredda come lo schermo di un cellulare?

Con degli SMS, senza il conforto degli occhi, di un abbraccio, insomma di quell’atmosfera di raccoglimento e calore che si sviluppa e si sprigiona tra due corpi, tra due persone?

Ho  cercato di capire, volevo conoscere,  non fermarmi alla prima facile e scontata risposta. Sapevo, o forse è più corretto dire intuivo che c’era qualcosa di più profondo e importante.

Dovevo almeno provare a decifrare, mettermi in contatto con qualcosa che non sapevo leggere, con questo oggetto (imprescindibile) a cui anche noi adulti attribuiamo un grande potere. Pare non se ne possa più fare a meno, uscire senza, ci si sente privi di qualcosa, nudi, sguarniti, mancanti.

È un filo invisibile, un cordone ombelicale che ci dà la sensazione di essere in continuo e simultaneo contatto con tutti. In modi differenti siamo tutti coinvolti in questa ricerca di conoscenza e significato. "Non esiste nessuna inevitabilità fintanto che esiste la volontà di contemplare quello che sta accadendo" (McLuhan & Fiore, 2011. P.25). Per questo motivo ho condotto una ricerca che andava in questa direzione e ho scoperto un mondo sommerso. 

Ci troviamo di fronte ad una svolta epocale. Come lo è stata la scrittura o la stampa, momento storico di passaggio da una modalità di pensiero ad un’altra, un crinale.

Vi è la necessità di conoscerne il ‘codice’, per poter usufruire di uno strumento che non sia esclusione e cesura rispetto alle modalità odierne o del passato ma di comprensione, espansione e arricchimento e consapevolezza. 

Il talismano per eccellenza tra le tecnologie digitali, lo smartphone, se lo tengono vicino a portata di mano, alcuni a fianco, altri sotto al cuscino, costantemente acceso, in un mondo dove la connessione non tramonta mai! Semmai lo dovessero perdere, sarebbe come se amputassero loro una parte di sé (o addirittura gli mancasse il respiro).

Secondo Jung l'ideale supremo umano è la scoperta e il possesso del proprio Sé, per il pensiero simbolico il mondo non è solo 'vivo' è anche aperto:

“un oggetto non è mai semplicemente se stesso è anche segno o ricettacolo di qualcos'altro, di una realtà trascendente il livello d'essere dell'oggetto” (von Franz, 1984)

1 Cosa ci dicono i dati

Non possiamo utilizzare metodi convenzionali per affrontare le nuove tecnologie e media dobbiamo fare una ricerca di comprensione rispetto all’enigmaticità e obnubilamento in cui ci troviamo in questo momento storico.

Il rapporto uomo- macchina, dell’uomo con la tecnologia, è un rapporto quanto mai complesso e conflittuale.

Molti dei ragazzi intervistati hanno raccontato che usano lo smartphone: il 100% dei ragazzi infatti lo possiede e per quanto riguarda i social network e la messaggistica, il dato emerso è che il ciclone WhatsApp ha sconvolto le abitudini sia nella quantità, nella qualità e nella varietà del messaggio a tal punto da far balzare il numero degli SMS a ben 574,67 al giorno!

Scalzando le telefonate che si attestano a un misero 4,74 (h) contro le ben 7,39 (h) passate su o dovremmo dire con WhatsApp ogni giorno.

Immaginazione e tecnologia

L’immaginazione come sostiene James Hillman (2000) è alla base dell’intimità e quindi delle relazioni. In questo studio ho analizzato le influenze, le conseguenze che hanno e potranno avere, le tecnologie digitali, soprattutto le App, per la psicologia di chi le utilizza.

I ragazzi alla domanda “Ti ritieni App-attivo o App-dipendente” il 57,14% di loro risponde attivo mentre il 18,09% dipendente, il 23,80% non lo sa.

Le nuove tecnologie sembra alterino non soltanto le abitudini di vita ma gli schemi di pensiero e di valutazione (Gardner e Davis, 2014).

A questo punto potremmo dire come sostengono Howard Gardner e Katie Davis (2014) e molti altri esperti e studiosi (P. Greenfield, S. Turkle, J. Bruner, K. Popper) che dipende molto dall’uso che ne facciamo, o altri ancora, per esempio McLuhan (1967) che questa è una visione sonnambulica-narcisistica, in realtà dovremmo prendere in considerazione la natura della tecnologia e del mezzo non il suo contenuto.

Dovremmo prendere in considerazione ‘noi’ in quanto parte della tecnologia e del mezzo; non qualcosa di esterno, estraneo a esso. E cercare di creare un antidoto come ci consigliava a suo tempo McLuhan cioè "creare gli anticorpi".

La nostra autonomia viene meno se non acquisiamo consapevolezza.

L’impatto delle nuove tecnologie è come un intervento chirurgico invasivo con il paziente sedato. Il corpo sociale non è “immunizzato”. La relazione potrebbe determinare e produrre l’humus, permettendoci di creare gli anticorpi adatti.

Dalla ricerca è emerso che la capacità di esprimere la propria creatività e immaginazione abbia come substrato, (e) un rapporto più soddisfacente con i genitori e gli amici e per estensione con i compagni di scuola.

Questo fa supporre che l’espressione di capacità creative (il processo creativo) abbia alla base una coscienza di sé mediata da tali relazioni che sono, strettamente, interconnesse con un migliore sviluppo culturale e sociale della comunità in quanto ad innovazione e sviluppo.

La tendenza sembra avvalorata dai dati scaturiti dal rapporto smartphone (App) e immaginazione: alle domande “L’uso di questi oggetti tecnologici ha arricchito il tuo modo di vedere le cose e di essere? il 36,19% risponde di no, mentre il 30,47% si, e il 32,28% non lo sa; “Ti piacerebbe creare un’App? i ragazzi così rispondono il 52,38% sì, il 34,28% no e l’11,42% non lo sa; ma alla domanda “i senti stimolato o incoraggiato dagli altri a manifestare e condividere la tua immaginazione e creatività? Rispondono così il 42, 85% non lo sa, il 23,80% no e il 32,38% si. Piccoli segnali che fanno pensare.

Quanto tempo passano gli adolescenti su smartphone e social?

Nonostante non siano ancora immuni, la maggior parte dei ragazzi (intervistati), hanno consapevolezza della pervasività di questi media nella loro vita, ma non ne hanno il polso. Attraverso la compilazione del test si sono accorti, facendo due conti, di quanto ne sono avvolti e sommersi.

Parte delle riflessioni scritte andavano in questo senso. Trascorrono in media al cellulare 7,8 (h) al giorno, con un’alta frequentazione sui social network, di cui la parte da re incontrastato la fa WhatsApp che detiene il 100% dei profili e una frequentazione giornaliera dell’ 86%, mentre Facebook ha il 91,4% dei profili e infine Instagram con il 50% di profili.

Questa consapevolezza emerge prepotentemente nelle riflessioni dei ragazzi della ricerca. Una di loro così si esprime:

L’ombra digitale

Gli adolescenti digitali accedono a internet nella quasi totalità dei casi attraverso lo smartphone, il 98%, in seconda battuta con il computer portatile il 63%, possiamo constatare che ormai tutto è legato al mobile, la cloud (la nuvola) ha reso tutto aereo e più agile. 

“Immersi” nel digitale, hanno imparato da piccoli a digitare online, a smanettare con il cellulare prima e con lo smartphone dopo. La prima generazione che vive (soprattutto in America) con la consapevolezza che ogni fallo, imprudenza o eccesso fatto in rete viene ibernato nella memoria del computer (Turkle, 2012).

Solo ora se ne vedono e colgono gli effetti permanenti e immutabili, all’interno di questi seducenti, giocosi e interessanti mezzi, i ragazzi e non solo, hanno finalmente capito che non si può sfuggire a ciò che si è fatto su internet, rimane un’ombra elettronica (Turkle, 2012) con cui dovranno perennemente fare i conti.

Una per tutti è la chat log, dove si possono archiviare tutte le conversazioni delle chat e acquisirne i dati online,

è possibile che qualcuno cerchi e raccolga prove visive o scritte oppure vocali salvate, degli errori commessi dagli altri, i quali possono riapparire ovunque e in qualsiasi momento quando meno te lo aspetti.

Un orrendo risveglio per molti giovani e meno giovani navigatori. Possessori di una reputazione on-line di cui non avevano coscienza. Memorie impresse nel granito!

La bolla e la sospensione del tempo e dello spazio

Le app, creano un paradosso, nate e create per darci più tempo, per fare altre attività, per semplificarle, le famose scorciatoie di Howard Gardner; in realtà tendono ad annullarlo, il tempo, come pausa, iato tra un’attività e l’altra creando quella dimensione di horror vacui (Dorfles, 1981) che origina in noi uno spaesamento.

Come commentano molti navigatori provetti, uscire fuori dalla “bolla” può essere deprimente e molto noioso.

Spaesamento che porta a sentirci sconnessi, da ogni dimensione incarnata, fondamentale dimensione per la psiche e il nostro benessere psicologico.

Viviamo un senso di disagio che molto bene a volte esprimono i ragazzi, quando giocano con la realtà virtuale; un’immersione (Lanier, 2010) dove non sanno più, dove sia il confine tra corporeo e incorporeo, fra online e offline, quello tra cosciente e inconscio, tra realtà e virtualità.

Conclusione

Abbiamo la possibilità di riflettere non per stereotipi la nostra esperienza quotidiana; non in modalità pilota automatico, bensì in una modalità critica consentendoci di sentire, vivere e utilizzare la tecnologia e i media antichi e moderni con consapevolezza e senza malia.

Ne consegue che dovremmo ‘semplicemente’ rialfabetizzarci poiché la lingua è nuova (pur possedendo radici antiche). 

Trovare nuovi segni da armonizzare con i passati per creare una fluidità di linguaggio.

Mettendoci in gioco e abbandonando i nostri ‘confini rassicuranti’ per affrontare un ambiente mediale ‘magmatico’. Non possiamo e non vogliamo più tornare indietro.

Le opportunità che ci vengono date dalle tecnologie rendono possibile una percezione attiva e creativa, in questo caso possono essere una bussola per il futuro, un possibile antidoto a condizione che si mantengano le relazioni umane al centro della nostra vita. 

Lascio la parola a una delle ragazze intervistate che chiameremo Sofia, mi sembra interessante e illuminante ciò che ha da dirci: