MEMORIE E ABISSI DI UN’IDENTITÁ IN TRANSIZIONE [parte 2]

Il continuo dislocamento di parti dell’individuo che esperisce senza nessuna condivisione e nessun filtro attentivo ed emotivo, di parti importanti che nutrono e fanno evolvere, ricorda le tessere di un mosaico, che sottratte all’esperienza incarnata non prendono ‘forma’.

Il rischio è di non dedicare tempo alla costruzione della propria memoria o addirittura di non avvertirne più il bisogno. 

Materiali, tracce labili che nella maggior parte dei casi non andranno poi a confluire in una memoria a creare ramificazioni e reti a livello cerebrale e psichico. Sono e rimangono elementi che esistono virtualmente.

Un esempio potrebbe essere se dimentichiamo di fare il backup e ci capita un qualsiasi inconveniente: la caduta in mare dello smartphone o una manovra sbagliata digitando codici, la fusione della scheda madre, tutto il patrimonio accuratamente archiviato viene spazzato via in un attimo.

A dimostrazione della volatilità e non incarnazione della nostra odierna vita virtuale. Scomparirà, svanirà nel nulla, anni di meticolose o superficiali ricerche, di attimi o porzioni di vita ‘volati via’. Possiamo in questo caso parlare di mutilazione? 

Mutilazione, di questo parlano molti ragazzi dopo la perdita o furto del cellulare o del tablet o del loro avatar. Protesi oramai dei loro giovani corpi.

Il problema potrebbe essere che la testa non sa cosa fa la mano in questo caso. Cioè che cosa contengano queste memorie esterne.

Affidandole o sarebbe meglio dire insabbiandole in un altro “luogo” (la cloud, la scheda dello smartphone…) è un po' come se non esistessero, e non lasciassero nessuna traccia di sé; perché non vengono inscritte dall’elaborazione dell’esperienza che normalmente noi facciamo quando “viviamo” un evento, cioè che lo incarniamo e la traccia che rimane va ad amplificare e trasformare quello che l’individuo è in quel momento. Tutto il suo essere.

La possibilità di ricordare il proprio vissuto. La propria storia.

In qualche luogo, situati nei posti più disparati al mondo, un esempio ne è Microsoft che ha deciso di mettere uno dei suoi Data Center nelle profondità dei mari della Scozia, ci sono depositati dati di tutti i tipi:

migliaia di immagini, video, esperienze vissute, provenienti da dispositivi appartenenti a persone che vivono nei luoghi più disparati. Depositate e spesso cadute nell’oblio.

E-Memory e disincarnazione

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La perdita o dimenticanza come la riappropriazione o emersione della memoria è un abisso, dal punto di vista clinico e non solo. A questo proposito ci rischiarano la via le parole di Jung:

C’è un’ulteriore differenza tra le immagini della realtà esterna e gli archetipi. Le immagini della realtà esterna compongono i contenuti della nostra memoria cosciente e delle nostre memorie artificiali - vale a dire libri, archivi, ecc. - mentre gli archetipi sono registrazioni di reazioni alle immagini sensoriali soggettive. Nella nostra memoria conscia registriamo le cose sia così come esse sono soggettivamente, sia come memorie di fatti reali, ma nell’inconscio registriamo le reazioni soggettive ai fatti così come li percepiamo nella coscienza.
— C.G. Jung, Seminari 1925, p.208

È difficile mantenere la propria identità se quotidianamente avviene l’inabissamento e la completa “disincarnazione” della memoria attraverso l’e-Memory, potrebbe accadere con i nuovi dispositivi una perdita dello “spirito”, lo spirito ci permette l’accesso all’inconscio, Jung perciò definisce lo “spirito”, sotto il profilo psicologico, come l’aspetto dinamico dell’inconscio.

L’individuo riesce così a contattare l’inconscio e a far sì che il complesso dell’ego ne abbia un effetto ispirante e rivitalizzante.

Oggi in tempo di e-Memory, ci appare sempre più difficile. L’argine dello schermo è come una barriera, come un sedimento roccioso, smuoverlo, andare in profondità è complesso sia per i giovani sia per altre fasce di età più mature.

Disabituati alla complessità del pensiero, del sentire emotivo, disabituati alla complessità dello ‘spirito’.

Gli individui potrebbero non essere più ‘capaci’ di scavare buchi e “passare attraverso” boring through, attraversarli alla ricerca di immagini sembra un arduo compito. I buchi ci sono ma spesso sono vuoti di ‘memoria’ che non riportano alla ‘luce’ nessuna immagine.

Gli abissi dello “spirito” abissi della memoria, potrebbero incidere in modo positivo o negativo sulla nostra identità. Questo dipende fondamentalmente da come noi decidiamo o ci poniamo dal punto di vista esistenziale e analitico. 

La crescente autonomia del mondo materiale digitale colonizza sempre di più il nostro immaginario, esternalizzando al contempo le nostre memorie. L’immediatezza del reale che ogni giorno contempliamo da schermi che ci seguono ovunque prende il posto del nostro immaginario, sostituendovisi
— Gallese 2015

Memoria e identità nella bolla digitale

Se il supporto esterno diventa il “supporto”, cosa ne avviene della memoria, e quindi dell’identità? Di questa identità in transizione.

Se non sono più in contatto con me stesso, perché non c’è una decantazione dell’informazione, che si trasforma in traccia, in ricordo, come si potrà avere, costituire una memoria di sé, e quindi come potrà avvenire una narrazione di ciò che sono.

Sherry Turkle (2016) ci parla della dislocazione altrove dei problemi interiori di un conflitto interiore non elaborato, avviene seconda l’autrice un esportare la sensazione con l’uso degli SMS, una dimensione virtuale non reale, la corporeità dell’errore, delle conseguenze viene così a mancare; viene così abbandonato il pentimento lasciandolo al suo destino, la posta in gioco è molto alta. Si ha la difficoltà a riconoscere l’effetto che hanno le parole, i comportamenti sugli altri! 

Una tregua artificiale, una sorta di imbroglio. Si perde o si rischia di perdere la lentezza e il rapporto col tempo. Comunichiamo nel modo più elementare possibile, rendendo tutto altamente superficiale, il problema è che se questa modalità permane, alla fine si esporta anche quando siamo vis a vis.

La Turkle parla di una vita costantemente interrotta, in cui non vengono usate le parole, le emozioni, il proprio corpo, sostiene che non saremo più in grado di usare il meraviglioso prodigio che è l’essere umano. Ciò che è tecnologico è sempre più perfetto in quanto privo di imprevisti ed emozioni. 

Nel 1942 Günther Anders aveva avuto un’intuizione: 

“Credo di essere capitato sulle tracce di un nuovo “pudendum”; di un motivo di vergogna che non esisteva in passato. Lo chiamo per il momento, per mio uso, “vergogna prometeica”, e intendo con ciò “(la) vergogna che si prova di fronte all’ ‘umiliante’ altezza di qualità degli oggetti fatti da noi stessi”. (…) 

Per l’individuo (…) Doversi presentare al cospetto di quei meccanismi perfetti nella sua goffaggine di essere di carne, nella sua imprecisione di creatura, gli era veramente insopportabile; si vergognava davvero (l’essere umano)”.

Le nostre tante memorie estese non hanno un “corpo” stanno lì a beneficio più dei proprietari, dei social network, dei Data Center che non dell’individuo e della comunità. Una sorta di ‘ombra elettronica’.

Nasce un problema non solo di identità personale ma anche per l’identità collettiva, la prima si riflette e investe la seconda, che sono strettamente connesse. Non c’è un’identità soggettiva senza un’identità collettiva, di relazione. 

A mio avviso, questo comporta un problema, supportato dai dati emersi da una ricerca che feci fra il 2014 e 2015, sviluppo di una ricerca americana di Howard Gardner e Katie Davis, sugli effetti delle tecnologie digitali e delle app, individuarono tre fondamentali aree dell'esistenza degli adolescenti: l'identità, l'intimità e l'immaginazione.

Con la loro ricerca gli autori analizzano quali siano gli inconvenienti delle app: possono squilibrare il senso d'identità, incoraggiare relazioni superficiali con il prossimo e ostacolare l'immaginazione.

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